Assassinio Alberto Boni, Dopo 11 anni l’assassina esce: “Non sono stata io, vi dico cosa successe quando morì”

La presunta assassina di Alberto Boni chiede di riaprire il caso dopo aver scontato undici anni in carcere. Lei si chiama Katharina Opavska, ma all’epoca è stata ribattezzata la ‘Mantide di Roquebrune Cap Martin’. E’ in questa località della Costa Azzurra che è stato ritrovato il corpo dell’imprenditore italiano, carbonizzato nella sua auto. In un primo momento la polizia pensò a un colpo di sonno o a una distrazione del conducente. Ma gli esami del caso svelarono che l’incendio era stato doloso e si aprì il caso per omicidio. La donna all’epoca era la compagna della vittima ed è stata accusata sin dal primo momento.

Ma oggi Katharina Opavska è di nuovo libera e insiste per riaprire il caso. “Sono stata vittima di un complotto. Ho pagato colpe non commesse e ho perso undici anni di vita. Mi hanno tolto tutto a cominciare dalla libertà. Voglio chiedere la riapertura del processo e dimostrare la mia innocenza”. Secondo gli inquirenti il movente dell’omicidio di Alberto Boni era economico. La sua compagna infatti voleva intascare almeno uno dei sette miliardi dell’assicurazione sulla vita che l’imprenditore aveva fatto. A nulla valse il fatto che la ‘mantide’ non era nominata neanche nel testamento.

Omicidio Alberto Boni, L’assassina chiede di riaprire il caso “Sono stati due uomini italiani”

In caso di morte prematura o violenta, infatti, i soldi sarebbero andati in eredità ai figli dell’uomo. Gli stessi figli che testimoniarono contro di lei al processo. Nel dettaglio, una figlia la accusò di aver fatto cadere una volta un phon acceso nella vasca dove suo padre stava facendo il bagno. Un maldestro tentativo di omicidio che avrebbe voluto spacciare per incidente. Così come quello che avrebbe successivamente inscenato, per poi dover scontare una pena di undici anni. Gli inquirenti ricostruirono gli eventi quando un testimone raccontò loro di aver visto una sagoma lanciare qualcosa verso il punto in cui è stata ritrovata la macchina.

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Successivamente, l’autopsia effettuata sul cadavere di Alberto Boni rivelò che il suo corpo era pieno di ansiolitici, nel dettaglio Lorazepam e Lormetazepam. Da qui la ricostruzione degli inquirenti che portò alla condanna di Katharina Opavska: la donna aveva prima drogato il suo compagno, dopo di che si era avvalsa dell’aiuto di due complici mai ritrovati. Questi la avrebbero aiutata a portare il cadavere dell’uomo nel punto in cui è stato ritrovato, per poi lanciare da lontano una bottiglia incendiaria e dare fuoco alla sua auto. Ma oggi la donna racconta una versione completamente differente dei fatti.

Katharina Opavska è convinta che a uccidere Alberto Boni siano stati due uomini italiani, alti all’incirca 1,85. “Siamo usciti di casa. Sul lungomare, Alberto entra in una cabina telefonica. Torna. Ci dirigiamo verso Gorbio. A una curva si avvicina una macchina. Due uomini. Esco. Escono anche loro. Uno mi da una sberla in volto. ‘Vai a casa’ ordina Alberto. Corro. Sotto choc. Chilometri. E a casa aspetto l’alba. La mattina Alberto non arriva. Gli assassini sono liberi da ventidue anni. E non mi andrà via la paura che qualcuno preferisca zittirmi. Chi ama la verità deve riaprire il caso”. Sarà ascoltato il suo appello?

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